Bi.1 – Storia dei 20 centesimi esagono

Breve storia dei 20 centesimi “esagono” ribattuti

Subito dopo la fine della “Grande Guerra” in Italia si era riscontrata una drastica riduzione delle monete in circolazione di bronzo e nichel, probabilmente anche per far fronte alle necessità belliche. La Zecca di Roma dovette quindi trovare una soluzione che contemperasse l’esigenza di emettere più moneta di piccolo taglio e al tempo stesso che tale nuova emissione non gravasse eccessivamente sulle casse dello Stato.

Come riportato in un articolo di Mario Lanfranco pubblicato in “Rassegna Numismatica” del 1932, a pag. 312 “in mancanza di metalli coniabili accetti al nostro pubblico e ripugnando ai tecnici della Zecca l’idea di ricorrere a monete di ferro che per il fatto di essere soggette all’ossidazione non avrebbero incontrato il favore del pubblico, si fece strada il pensiero di utilizzare la grossa massa metallica monetaria costituita dai pezzi da 20 centesimi di nichel misto (mistura di 75 parti di rame e 25 di nichel) coniati negli anni 1894 e 1895 e poi ritirati[1] per essere sostituiti con pezzi di nichel puro, giusto il disposto della Legge 9 luglio 1905 nr. 363”.

Tuttavia, le monete umbertine non potevano essere riutilizzate sic et simpliciter, ma dovevano riportare delle nuove impronte e “per ciò ottenere sembrava a tutta prima che si dovesse fondere l’intera massa delle vecchie monete rimaste nelle Casse del Tesoro e colle paste metalliche così ricavate allestire nuovi tondelli atti a ricevere le nuove impronte”.

Lo stesso Lanfranco  ebbe “la felice idea di ristampare con nuovi coni le vecchie monete, utilizzandole come tondelli, dopo averle sgrassate bene e ripulite con bagno chimico e soprattutto dopo averle ben rincotte in vaso chiuso per ridonare al metallo la malleabilità occorrente per poter ricevere la nuova impronta, malleabilità che la prima stampa aveva fatto perdere. Perciò le vecchie monete, considerate come tondelli, dopo ricotte e convenientemente imbianchite, sono state passate all’Officina Stampa per ricevere sotto i coni le nuove impronte monetarie”.

Al riguardo, è altresì interessante riportare un estratto della Relazione della Regia Zecca 1914-1939 dove a pag. 21 viene precisato “l’incisore capo Prof. Motti studiò e preparò due modelli per sostituire le vecchie impronte direttamente sulle monete stesse con un colpo della pressa. Tali sostituzioni di impronte presentano sempre nella pratica attuazione notevoli difficoltà. Chi infatti guardi attentamente, col sussidio di una lente di ingrandimento, queste monete ribattute potrà ancora sul loro campo riscontrare traccie più o meno visibili delle antiche impronte. Se i nuovi punzoni non fossero stati tecnicamente perfetti e studiati in tutti i minimi particolari con grandissima cura, queste traccie sarebbero ben maggiormente evidenti.

Poiché lo scopo di questa lavorazione speciale era di provvedere con sollecitudine ad attenuare la rarefazione delle monete di bronzo, le sole operazioni, alle quali le vecchie monete da 20 centesimi venivano sottoposte prima della stampa, consistevano in una rincozione[2] entro recipienti chiusi ed in un successivo imbianchimento”.

Della moneta da 20 centesimi “esagono” – considerata moneta d’emergenza – ne furono battuti circa 77 milioni di pezzi nel corso di tre anni (1918, 1919 e 1920). Al riguardo, va ricordato che i “nichelini” umbertini ritirati e rimasti nei magazzini della Zecca non furono sufficienti per coprire l’intera tiratura, visto che in gran parte erano stati ceduti all’industria bellica. Per questo motivo, le monete con millesimo 1920 furono coniate su tondelli vergini, che – a differenza dei tondelli dei due millesimi precedenti – non presentano alcuna traccia di rigatura sul contorno.

Infatti, si osserva che i 20 centesimi di Umberto I hanno il contorno rigato, mentre i 20 centesimi “esagono” hanno, o meglio dovrebbero avere, il contorno liscio. Tuttavia, a causa della sovrabattitura, numerosi pezzi del 1918 e 1919 presentano vari tipi di contorno: liscio, rigatura parziale o debole oppure rigatura completa. Le monete che presentano un bordo rigato completo sono più rare e ricercate.

Inoltre, va altresì ricordato che i nichelini umbertini sono stati coniati nel 1894, sia a Roma (R) sia a Berlino (KB) e nel 1895 solo a Roma. Peraltro, tenendo conto del fatto che il tondello veniva inserito nella pressa monetaria senza una precisa posizione delle due facce (dritto e rovescio) e senza un preciso orientamento, le combinazioni possibili sono parecchie. Tuttavia, mentre la posizione e l’orientamento sono ininfluenti sul valore della moneta in quanto casuali, il millesimo e il segno di zecca della moneta umbertina sottostante possono conferire un diverso valore. Al riguardo, si può stilare una classifica di rarità (dal più raro al meno raro):

  1. 20 centesimi esagono 1919 su 20 centesimi Umberto I 1895 R
  2. 20 centesimi esagono 1918 su 20 centesimi Umberto I 1895 R
  3. 20 centesimi esagono 1919 su 20 centesimi Umberto I 1894 R
  4. 20 centesimi esagono 1918 su 20 centesimi Umberto I 1894 R
  5. 20 centesimi esagono 1919 su 20 centesimi Umberto I 1894 KB
  6. 20 centesimi esagono 1918 su 20 centesimi Umberto I 1894 KB

Naturalmente, la presenza di un bordo rigato completo ed un elevato stato di conservazione ne aumenta ulteriormente la rarità. Qui sotto si può apprezzare un raro esemplare di 20 centesimi 1919 sovrabattuto su un 20 centesimi Umberto I 1895 R

Di seguito un esemplare di 20 centesimi 1918 sovrabattuto su un 20 centesimi Umberto I 1895 R.

Di seguito un esemplare di 20 centesimi 1919 sovrabattuto su un 20 centesimi Umberto I 1894 R.

Di seguito, un esemplare di 20 centesimi 1919 sovrabattuto su un 20 centesimi 1894 KB con battitura decentrata.

Infine, va ricordato che le eventuali tracce del vecchio “nichelino” sono solitamente più visibili nel campo del 20 centesimi “esagono” privo di impressioni e quindi sono più frequentemente presenti sul dritto dell’esagono, in quanto la porzione di campo “vuoto” è maggiore lungo il bordo, vale a dire dove la pressione dei conî è inferiore. Peraltro, siccome il rovescio dell’esagono presenta una corona d’alloro lungo il bordo, nel caso in cui  tale rovescio sia stato coniato sopra il rovescio del nichelino umbertino, il segno di zecca risulterà difficilmente visibile, se non con l’ausilio di una lente di ingrandimento o di un microscopio.

Concludo riportando altri due paragrafi tratti dal citato articolo del Lanfranco: “la guerra colle sue necessità imperiose come ci imponeva di surrogare il puro metallo nichel con una lega di mistura (75 Ni + 25 Cu) così nella urgenza del provvedimento e per speciali esigenze tecniche ci faceva dimenticare le nostre più belle tradizioni di arte e gli sforzi compiuti dal 1906 al 1908 per il rinnovamento artistico delle nostre monete. Le monete di mistura da 20 cent., ristampate, da considerarsi come monete di necessità, rappresentano innegabilmente nell’evoluzione dell’arte della moneta, un punto di arresto e sarà opportuno che il Governo Nazionale ne decreti il ritiro, sostituendone l’ammontare con la bella moneta del tipo Bistolfi coniata con nichel vero”.

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[1] Il Regio Decreto 13 giugno 1909, n. 361 ordinò il ritiro dalla circolazione di questa moneta essendo di brutto conio e di facile falsificazione. Dal 1909 al 1914 furono ritirati circa 89 milioni di pezzi ed i restanti 11 milioni caddero in prescrizione.

[2] Per “rincozione” si intende l’operazione di ricottura dei tondelli, al fine di renderli più malleabili. Al riguardo, si cita un estratto dell’articolo di Giuseppe Maria Viti intitolato “Dove e come si fabbricano i nostri soldi”, La Lettura, Anno XII, n.3, 1912: “ma sotto il tormento e la forza dilaniatrice dei cilindri [l’autore si riferisce all’operazione di laminazione, ndr], il metallo, battuto a freddo, s’è inasprito: ha raggiunto tale un grado di densità che una nuova pressione lo frangerebbe. Allora, per ridare la libertà, l’equilibrio, la snellezza alle molecole, si mettono le verghe al forno di rincozione. Le lamine, deposte su una predella girante, sono, con vicenda alterna e regolare, lambite dalle lingue di fuoco di un chiaro carbone ardente”.