1.1 Fabbricazione dei conî

Fabbricazione dei conî nell'epoca antica

Iniziamo con l’esaminare il procedimento più complicato, e certo più impegnativo dal punto di vista artistico: la fabbricazione dei conî.

Nell’antichità i conî per le monete battute a martello erano di bronzo e successivamente con Costantino, per la prima volta, è stato impiegato il ferro temprato.

Figura 12

Il conio inferiore constava di una barra di metallo che terminava a punta e a mezza altezza era sguanciato verso l’esterno in modo da poter essere confitto in un blocco di legno e restare in posizione fissa senza che il martello lo conficcasse ulteriormente nel legno (cfr. Figura 12). Talvolta i conî avevano la testa quadrata, ciò consentiva di allinearli in modo tale che i disegni delle due facce mantenessero un costante rapporto reciproco, oppure presentavano delle tacche ai bordi per indicare in che maniera dovevano essere allineati.

Quali siano stati effettivamente i sistemi seguiti nella fabbricazione dei conî lo si può ricostruire solo a grandi linee, visto che solo pochi esemplari sono stati ad oggi ritrovati. Al riguardo, si ritiene che i conî delle monete antiche venissero incisi a mano libera.

E’ molto probabile che i primi disegni riportati sul conio fossero ottenuti per mezzo di un utensile da incisione (per asportare parti di metallo) e di un pesante maglio. Più avanti gli artisti greci migliorarono la loro tecnica: l’immagine sul conio veniva preparata dall’incisore dapprima abbozzandola con leggeri “graffi” sulla superficie liscia del metallo e poi veniva incisa utilizzando vari strumenti: ceselli o scalpellini, bulini, trapani ad archetto e punzoni.

In particolare, lo scalpellino e il bulino servivano per rimuovere il metallo dalla superficie del conio (cd. incisione del conio), mentre il punzone veniva martellato sulla superficie del conio (cd. impressione del conio).

Come ricorda il Finetti[1], “i bulini, simili a quelli attuali, erano delle asticelle di metallo munite di manico adattabile al palmo della mano, indurite in punta che poteva essere acuta, tonda o triangolare. Essi lavoravano per pressione continua e graduata, mentre i ceselli, come indica anche l’etimologia, erano (e sono) una specie di piccoli scalpelli con lama di foggia diversa che lavoravano per percussione; da essi dovettero evolversi i punzoni mobili”. Insieme a questi strumenti venivano anche utilizzate delle lime, degli smerigli e persino dei compassi.

A tale ultimo riguardo, si segnala che sia in Grecia che a Roma (principalmente nel primo periodo), si usava incidere lungo il bordo del conio un cerchio decorato con perline, che aveva la funzione sia di definire l’area di incisione sia di limitare la pratica della “tosatura”, che consisteva nell’asportare dalle monete (già coniate) del metallo prezioso (solitamente oro o argento) per poi rivenderlo.

Siccome i conî si rompevano facilmente e la richiesta di moneta era spesso elevata ed urgente, si rese subito necessario inventare un metodo per produrli velocemente e senza doverli incidere da capo manualmente ogni volta.

Pertanto, è ipotizzabile che talvolta fosse impiegato anche un punzone su cui veniva riprodotto in rilievo ed in positivo, interamente o in parte, il disegno della moneta. Di conseguenza, era possibile ottenere con esso un gran numero di conî, tutti perfettamente uguali.

Figura 13 – Conio per Tetradramma o “civetta” di Atene. Fonte: muzeydeneg.ru

Al riguardo, Laura Breglia evidenzia che “gli antichi si servirono altresì, per la preparazione dei conî, di punzoni di metallo duro con disegno in rilievo, che venivano affondati nel metallo riscaldato del conio dandogli l’impronta principale, mentre alcuni particolari venivano ripresi, o tracciati successivamente, col bulino e impressi con punzoncini indipendenti. Tale uso, già riscontrato in età greca, si generalizza nell’età romana dell’impero; esso offriva da un lato il vantaggio di accrescere la resistenza del conio col dar maggior densità al metallo con la compressione, dall’altro, vantaggio ancor più notevole, specie per la ricchissima produzione dell’impero, facilitava il lavoro, permettendo di ricavare da un solo punzone parecchi conî[2].

Figura 14

Un’ulteriore tecnica utilizzata nell’antichità al fine di cercare di standardizzare la fabbricazione dei conî consisteva nell’impiego di stampi fusi. Tuttavia, il risultato – anche dopo che i dettagli erano stati ravvivati attraverso l’utilizzo di un bulino – era scadente e risultava difficile temprare il metallo ai fine di renderli atti ad un uso prolungato.

Nonostante l’impiego sporadico delle due tecniche qui sopra descritte, si deve ritenere che la maggior parte dei conî impiegati per la coniazione a martello venissero direttamente fabbricati uno per uno e ciò faceva sì che ciascun conio differisse leggermente dagli altri.

Per quanto riguarda i conî superiori, è probabile che inizialmente gli stessi non fossero altro che solide sbarre di ferro, lunghe a sufficienza per essere tenute con una mano o con le tenaglie (cfr. Figura 13), ma già ai tempi dell’Impero Romano cominciarono ad avere la forma di piccoli oggetti a forma di cilindro o di cono (cfr. Figura 14). Il tronco dei conî superiori di età romana era infatti più corto per evitare, sotto i colpi del martello, delle distorsioni e per allungarne quindi la durata. Peraltro, sempre a tal fine, intorno al I° secolo a.C. i conî venivano incassati in manicotti di ferro che avevano la funzione di “assorbire” il colpo del martello[3].

I due conî non avevano la stessa vita utile, in quanto il conio superiore si consumava molto più rapidamente di quello inferiore. Il fatto che i conî venissero distrutti al termine dell’emissione per la quale erano stati preparati, al fine di evitare che entrassero nelle mani sbagliate, fa sì che solo pochissimi esemplari siano arrivati sino a noi, di cui peraltro si ritiene che la maggior parte facessero parte dell’attrezzatura di falsari. Molti degli errori di conio derivavano dalle difficoltà scaturenti sia dalla costruzione sia dall’uso del conio superiore. Esso si rompeva facilmente ed era difficile ripararlo; inoltre, se non era tenuto esattamente sopra il tondello ed il conio inferiore, certe parti della moneta non ricevevano l’impressione e rimanevano parzialmente prive di immagine.

Figura 15

Infatti, se il conio superiore non veniva tenuto esattamente in perpendicolare, la parte verso la quale pendeva riceveva la maggior parte della forza impressa dal colpo di martello. Di conseguenza, il bordo del conio tendeva a sfaldarsi sotto il colpo del martello e la testa a diventare convessa, e ciò spiega la forma arrotondata di molte monete antiche.

Quando i conî erano usurati oppure quando veniva cambiata la tipologia di moneta da coniare, i conî venivano spezzati ed eventualmente inviati alla zecca centrale per evitare che entrassero in possesso dei falsari.

Nel III° secolo d.C. i manicotti contenenti i conî vennero collegati a due bracci uniti da un perno, formando una sorta di tenaglia (cfr. Figura 15). Si tratta dei cd. “conî fissi” o “conî a pinza”. Un esemplare molto celebre è conservato presso il Cabinet des Médailles della Biblioteca Nazionale di Parigi[4]. L’impiego dei conî fissi – maggiormente utilizzati nel periodo tardo imperiale e bizantino – consentiva di poter ottenere delle monete con assi simmetrici (asse “alla tedesca” o “alla francese”, cfr. par. 2.B.9.), cosa che non accadeva normalmente nelle monete coniate con conî liberi.

Per battere una moneta con i conî a pinza con branche abbastanza lunghe, del tipo bizantino, erano evidentemente necessarie due persone: una al martello e l’altra che teneva fermo il tondello tra le due matrici stringendo la tenaglia per impedirne lo slittamento; le monete di lieve spessore e quasi esclusivamente di metallo nobile potevano essere improntate dalla forza sviluppata da una mazzetta azionata da una sola mano. Con il ritorno dei conî liberi, verificatosi in occidente con il passaggio dal tremisse al denaro carolingio, venne meno anche l’ormai tradizionale allineamento degli assi anche se in alcuni ambienti, gravitanti nell’area bizantina, si assiste ad un recupero di questa tecnica, sebbene quasi esclusivamente per l’oro e per l’argento[5].

Figura 16 – Conî a pinza. Fonte: Fogg Art Museum, Harvard

Come vedremo, l’abbandono dei conî fissi ed il ritorno ai conî mobili durante il Medioevo è probabilmente motivato dal fatto che, dopo la caduta dell’impero romano, le zecche tornarono ad essere delle piccole officine artigiane a cui erano sufficienti degli strumenti semplici ed essenziali, visto anche il numero contenuto di monete che solitamente dovevano coniare.

 

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[1] Angelo Finetti, Numismatica e tecnologia, NIS, 1987, pag. 64.

[2] Laura Breglia, Numismatica antica, Feltrinelli, 1964, pag. 32.

[3] In Romania in un ripostiglio probabilmente appartenuto a falsari del I° secolo furono trovati quattordici conî in bronzo e tre manicotti in ferro. Il fatto che siano riferibili a falsari e non a una zecca ufficiale è poco rilevante, in quanto il falsario da sempre ha cercato di adeguarsi il più possibile alla tecnica ufficiale per meglio mascherare il suo prodotto e ciò è tanto più vero per l’antichità quando gli strumenti tecnici erano molto più semplici.

[4] Pubblicato in Ernest Babelon, Traité des monnaies grècques et romaines, Leroux edition, 1901 e in Cornelius Clarkson Vermeule, Some notes on ancient dies and coining methods, London, 1954.

[5]  Angelo Finetti, Numismatica e tecnologia, NIS, 1987, pag. 49.