3.1 Fabbricazione dei conî

Fabbricazione dei conî nell'epoca pre-industriale

L’uso delle macchine per la coniazione comportò inevitabilmente che si cambiasse anche radicalmente la tecnica di fabbricazione dei conî, non tanto dal punto di vista della tecnica di incisione – almeno in questo periodo pre-industriale -, ma piuttosto dal punto di vista della loro forma. Infatti, i conî da inserire nella pressa a caduta o nel bilanciere venivano fabbricati in sezioni quadrate o circolari, con un’altezza molto limitata (circa cinque centimetri) e, come vedremo, incastrati in un collare contenitivo o in una scatola porta-conio che aveva la funzione di impedire che si spostassero in fase di battitura. I conî venivano incisi secondo i sistemi tradizionali anche se nel corso del XVIII° secolo fu raffinata la tecnica dei punzoni mobili grazie alla disponibilità di acciai migliori. I conî da inserire nella pressa a caduta o nel bilanciere avevano solitamente una base o collo quadrato, al fine di inserirli e allinearli meglio all’interno della pressa; la parte superiore era invece generalmente tonda (cfr. Figura 48).

Figura 48. Fonte: museion.ru

Inoltre, va osservato che l’utilizzo della pressa a caduta fu probabilmente d’ispirazione per standardizzare la produzione dei conî. In particolare, invece di utilizzare i punzoni mobili, gli incisori iniziarono a fabbricare degli interi conî con le impronte della moneta in positivo (cd. “matrici”). Poi le matrici, sfruttando la tecnica di coniazione a caduta (cfr. infra), venivano utilizzate per fabbricare dei conî con le impronte della moneta in negativo. Quest’ultimi conî venivano poi utilizzati per battere le monete. In questo modo, era possibile standardizzare le impronte dei conî e coniare quindi migliaia di monete tutte uguali. Come vedremo nel prossimo capitolo, questa tecnica si sviluppò solo nel periodo industriale.

Venendo ora ai conî impiegati nella pressa a rulli, si rileva che gli stessi, in un primo tempo, venivano prodotti attraverso la forgiatura, vale a dire conferendo loro la forma cilindrica battendo il ferro rovente con una mazza. In particolare, si ritiene che per dare la forma rotonda si utilizzasse probabilmente una speciale incudine sulla quale era scavata un’impronta semi-cilindrica e poi venivano rifiniti col tornio. Per aumentarne la durezza della superficie si applicava una lamina d’acciaio. Successivamente, verso la seconda metà del XVIII° secolo, i rulli cominciarono ad essere prodotti in acciaio fuso conferendo loro una durata molto maggiore e qualità tecniche migliori.

Una volta prodotti i rulli, gli stessi venivano incisi direttamente sulla loro superficie. Poiché la pressione dei rulli provocava una espansione longitudinale delle lamine, affinché le monete assumessero una forma circolare si dovevano incidere i conî con una figura ovale piuttosto larga.

Con riferimento alla produzione delle impronte ovali sui conî a rulli, si possono trarre delle informazioni interessanti da una relazione del 1734 scritta da Ercole Lelli riguardante la zecca di Modena. “Il diametro trasversale doveva essere più lungo di un ottavo di quello longitudinale e per ottenere questo risultato si utilizzava un bulino con due punte distanti tra loro un ottavo del diametro longitudinale. Con esso venivano incisi due riferimenti sul cilindro ed ognuno veniva usato come centro per tracciare una circonferenza. La linea esterna delle due circonferenze intersecate tra loro rappresentava il contorno del conio sul quale si imprimeva la punteggiatura ed al cui interno si mettevano poi le lettere della legenda e le figure. Dopo aver riempita tutta la superficie dei cilindri di impronte uguali, era necessario cementarli e temperarli per dare loro la durezza necessaria per coniare. Per questo scopo la loro superficie veniva ricoperta da una pasta formata da fuliggine, unghie di bue ed urina umana e dopo averli riscaldati al calore rosso venivano spenti in acqua tiepida (l’acqua troppo fredda poteva far crepare il ferro). Purtroppo la tempera provocava una deformazione dei cilindri (ovalizzazione della sezione) che quindi non avevano più una sezione perfettamente circolare; come conseguenza nel corso della rotazione lo spazio tra di essi non era sempre costante. Ma a questo punto non era più possibile tornire i cilindri e ciò avrebbe comportato irregolarità nello spessore delle monete e quindi nel loro peso. Per ovviarvi si provvedeva ad allineare i cilindri in maniera che alle impronte più sporgenti coincidessero quelle del conio opposto meno sporgenti e così lo spessore della lamina che passava tra di loro sarebbe rimasto pressoché costante. Ogni impronta di moneta doveva quindi essere individuata da una lettera alfabetica per poter sempre effettuare la registrazione corretta[1].

Sempre per quanto riguarda i conî, l’invenzione principale durante l’epoca pre-industriale fu probabilmente la virola, vale a dire il cosiddetto “terzo conio” che ha la principale funzione di conferire alla moneta una forma perfettamente circolare e, al contempo, di imprimere eventualmente sul contorno della moneta delle impronte. Ciò anche al fine di contrastare la pratica della “tosatura” del metallo prezioso.

Figura 49 – Virola spezzata in sei segmenti. Fonte: sohomint.info

In particolare, la virola consiste di un piatto metallico con al centro un foro circolare con un diametro pari a quello della moneta da coniare, ma leggermente superiore a quello del tondello. Sulle pareti interne del foro possono essere incisi dei disegni o delle scritte, solitamente in incuso, da trasferire sul contorno della moneta.

Naturalmente la virola non poteva essere usata nella pressa a rulli, ma ben si associava al bilanciere e questo fu uno degli elementi che influì sulla predominanza di quest’ultimo strumento di coniazione. Ora, posto che il metallo del tondello a seguito della compressione dei due conî si espande e tende a riempire le cavità presenti sui conî e sulla virola, se il disegno consisteva di una semplice zigrinatura verticale, la moneta poteva essere estratta senza difficoltà. Tuttavia, se invece la virola riportava una legenda, un disegno oppure una zigrinatura irregolare, come era consuetudine all’epoca, l’estrazione presentava evidentemente dei problemi. Per ovviare a tale difficoltà si fece ricorso a diversi espedienti: spezzando la virola in più segmenti, inserendo un nastro di acciaio mobile con le incisioni dentro la virola oppure utilizzando la macchina marcatrice. La virola spezzata fu inventata a metà del XVI° secolo dal francese Aubin Olivier e la stessa era essenzialmente una virola che, di norma, constava di tre sezioni o segmenti separabili per agevolare l’estrazione della moneta appena coniata. Naturalmente, questo sistema aveva l’inconveniente di rallentare le operazioni di coniazione, visto che ad ogni battitura i segmenti della virola dovevano essere aperti, e generava spesso dei difetti di conio.

A tale ultimo riguardo, è interessante notare che presso il British Museum è conservato un esemplare di queste prime monete francesi coniate con la virola spezzata ideata da Aubin Olivier che al contorno avrebbe dovuto riportare la scritta: XVERÆ | RELIGIONIS | ASSERTORI | (la barra verticale sta ad indicare i punti di congiunzione dei tre segmenti di cui era composta la virola). Ebbene, l’esemplare del British Museum non riporta le prime due lettere della parola “ASSERTORI” (invece riportate, ad esempio, nell’esemplare conservato presso la collezione della Royal Mint) e ciò è probabilmente dovuto al fatto che la virola era in incuso e quindi del materiale estraneo (polvere metallica, detriti, etc.) deve aver occluso le due lettere in questione impedendone la coniazione.

Di conseguenza, alla luce di tutti questi problemi, il nuovo sistema della virola spezzata fu abbandonato per poi essere riutilizzato – dopo due secoli – presso la zecca di Soho verso la fine del XVIII° secolo da Jean-Pierre Droz (cfr. Figura 49), ancora senza successo. Tanto che Matthew Boulton, fondatore della predetta zecca, scrisse: “ho anche sentito parlare di un tentativo di coniare delle Corone all’interno di virole presso la zecca inglese, ma fu così problematico e la virola così pericolosa che, secondo me, solo una mezza dozzina di monete fu coniata, e se una cosa del genere è stata proposta agli zecchieri, essi avrebbero concluso che sarebbe costato un penny per produrre mezzo penny[2]. Dopo pochi anni (nel 1790), sempre alla zecca di Soho, James Lawson introdusse una virola “semplice” composta da un unico pezzo e dotò la pressa di un sistema automatico di alimentazione dei tondelli e di estrazione delle monete appena coniate.

Si dovette attendere fino al 1830 per introdurre anche il predetto sistema automatico di alimentazione ed estrazione con la virola segmentata e ciò avvenne ad opera del francese M. Moreau. In particolare, Moreau mise appunto una tecnica che prevedeva l’apertura dei segmenti di cui è composta la virola alla fine di ogni battitura per consentire l’estrazione della moneta senza danneggiamenti. Una volta estratta la moneta, i segmenti si richiudevano automaticamente. Questa tecnica ha il difetto che i segmenti non sono sempre perfettamente allineati ed adiacenti, causando delle imperfezioni (cfr. par. 2.B.11).

Parimenti deludente fu il tentativo dell’inglese Thomas Simon che provò a montare sul contorno del tondello un nastro d’acciaio mobile che riportava la legenda da riportare sul contorno della celebre moneta “Petition Crown” celebrativa dell’incoronazione di Carlo II d’Inghilterra.

Figura 50 – Petition Crown di Thomas Simon

Il tondello con attorno il nastro veniva inserito dentro la virola e una volta battuto veniva spinto fuori unitamente al nastro d’acciaio mobile, probabilmente con un movimento verticale del conio inferiore. A questo punto, la moneta veniva tirata fuori dal nastro d’acciaio il quale aveva nel frattempo lasciato sul contorno una legenda di 35 parole disposta su due righe, contenente una petizione di Thomas Simon[3]. Evidentemente anche il nastro d’acciaio mobile rallentava moltissimo le operazioni di coniazione e non ebbe successo.

Pertanto, queste due tecniche caddero in disuso e furono ben presto sostituite da una macchina marcatrice che, in una fase antecedente o successiva alla battitura, incideva sul contorno del tondello o della moneta una determinata legenda o disegno.

Figura 51 – Macchina marcatrice

Questa macchina constava di due barre di acciaio piane e parallele, disposte su di una piastra metallica fissata su di un tavolo massiccio e pesante e distanti l’una dall’altra d’una misura di poco inferiore a quella del diametro dei tondelli che dovevano essere marcati. Una delle barre era fissata mentre l’altra poteva essere spostata avanti e indietro, parallelamente alla prima, mediante una leva ed una ruota dentata, in modo tale che un tondello posto fra di esse potesse ruotare quando la leva veniva azionata in alto e in basso. Le legende del taglio venivano incise sui lati interni delle due barre, metà sulla prima e metà sulla seconda, affinché l’intera legenda si imprimesse sul taglio mentre il tondello compiva mezzo giro[4].

Come precisa sempre Grierson, questa macchina fu inventata nel XVII° secolo in Inghilterra da Pierre Blondeau e poi perfezionata in Francia da Jean Castaing nel 1685. Secondo le stime dell’epoca, con questa macchina era possibile coniare il contorno di 20.000 tondelli al giorno. A differenza della virola spezzata, la macchina marcatrice di Castaing ebbe un enorme successo e fu rapidamente utilizzata su grande scala.

Successivamente nel XVIII° secolo la macchina marcatrice fu ulteriormente migliorata in Austria con l’introduzione di barre leggermente curve, che riportavano una migliore impronta delle barre dritte.

 

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[1] Michele Chimienti, La zecca di Bologna e le sue macchine, Eurocopy, 2008, pag. 42.

[2]I have also heard of an attempt to strike crown pieces at the Tower in collars, but it was found so troublesome and the collar so hazardous that I believe there never was half a dozen of them struck, and if such a thing had been proposed to the moneyers they would have concluded that it would be worth a penny at least to make a half penny”.

[3] “THOMAS SIMON MOST HVMBLY PRAYS YOVR MAJESTY TO COMPARE THIS HIS TRYALL PIECE WITH THE DVTCH AND IF MORE TRVLY DRAWN & EMBOSS’D MORE GRACE; FVLLY ORDER’D AND MORE ACCURATELY ENGRAVEN TO RELIEVE HIM”

[4] Philip Grierson, Introduzione alla numismatica, Jouvence, 1984, pag. 168.