1.3 Battitura dei tondelli

Battitura dei tondelli nell'epoca antica

Una volta preparati i conî ed i tondelli, si poteva procedere con la fase della battitura, il cui procedimento purtroppo non risulta da alcuna fonte diretta, ma lo stesso può essere comunque desunto indirettamente da alcune raffigurazioni di epoca romana e dalla considerazione che tale fase è rimasta sostanzialmente inalterata per circa 2000 anni.

Figura 23 – Aes di Paestrum

Oltre agli strumenti illustrati sul denaro repubblicano di Carisius e l’affresco degli amorini orafi di Pompei, che abbiamo già commentato, le altre due più famose raffigurazioni che mostrano delle scene di coniazione in epoca antica sono quelle dell’aes di Paestum e del rilievo funerario proveniente da Villa Muti a Frascati.

L’aes di Paestum (cfr. Figura 23) riporta al dritto una bilancia per pesare probabilmente dei lingotti e sul rovescio rispettivamente a sinistra un malleator con due mani su un martello in procinto di colpire l’incudine, mentre sulla destra si pensa sia raffigurato un suppostor che pone il tondello sull’incudine. Anche se l’immagine non è chiara, sopra l’incudine pare esserci un conio.

Quella che segue è, invece, l’immagine di un frontoncino del rilievo funerario proveniente da Villa Muti a Frascati e oggi conservato al British Museum (cfr. Figura 24).

In particolare, in questo frontoncino sono raffigurati un martello (maglio), una tenaglia che porta un tondello e, al centro, due conî sovrapposti. A tale ultimo riguardo, il Barello ritiene che in realtà i due oggetti sovrapposti siano, in basso, l’incudine e, sopra di essa, il conio inferiore, mancando quindi il conio di martello[1]. Invece, la Travaini sostiene che questa lettura sarebbe in contrasto con la presenza della tenaglia, la quale sembra porre un tondello tra i due conî[2].

Rispetto alle altre due fasi del processo di coniazione, la fase della battitura era un’operazione abbastanza semplice che richiedeva essenzialmente una grande forza fisica e un po’ di abilità; infatti, era necessaria una lunga pratica per saper assestare un colpo deciso e verticale, affinché la pressione si distribuisse uniformemente su tutta la superficie del tondello. Inoltre, il colpo doveva essere della giusta potenza: un colpo troppo debole avrebbe lasciato delle impronte evanescenti sulla moneta, mentre un colpo troppo forte avrebbe potuto spezzare in due il tondello ovvero rompere il conio.

Come si desume anche dall’affresco di Pompei e dall’aes di Paestum, la notevole forza necessaria per battere gli spessi tondelli delle monete antiche richiedeva molto probabilmente l’intervento di un uomo dedicato alla martellatura (malleator) e di un altro (suppostor) che, grazie all’ausilio di apposite tenaglie, alimentava manualmente i singoli tondelli e teneva fermo il conio superiore, pronto a ricevere la martellata.

L’utilizzo della tenaglia, oltre ad evitare che un colpo mal assestato comportasse un infortunio al suppostor, era altresì necessaria in quanto, in considerazione dello spessore dei tondelli, si ritiene che gli stessi – prima di essere battuti – venissero scaldati, anche se, attraverso lo studio della struttura cristallina della superficie delle monete, si conoscono casi di battitura anche a freddo.

In particolare, il tondello veniva preventivamente riscaldato allo scopo di rendere il metallo più malleabile e di ottenere quindi un risultato migliore. Tuttavia, “i tondelli scaldati erano meno maneggevoli e impacciavano la speditezza del lavoro. Il calore che trasmettevano ai conî ne ammorbidiva la superficie abbreviandone la durata[3].

Figura 24 – Frontoncino del rilievo funerario di Villa Muti a Frascati. Fonte: britishmuseum.org

Secondo alcuni esperimenti[4], la vita media di un conio superiore era di circa 8.000 colpi, mentre un conio inferiore poteva produrre da 10.000 a 16.000 monete, ma solo se il tondello era stato preventivamente arroventato; in caso contrario, la maggior durezza del metallo da coniare avrebbe potuto anche dimezzare la vita dei conî.

Per quanto riguarda, invece, il martello, il Finetti evidenzia che “il peso del martello era proporzionale alla larghezza del conio, doveva trattarsi pertanto di mazzette diverse dai martelli lunghi da spianatore[5].

Per effetto della pressione esercitata dalla battitura, il metallo si dilatava ed i bordi del tondello tendevano a sollevarsi. Ciò consente peraltro di distinguere facilmente la faccia inferiore (concava) dalla faccia superiore (convessa). Inoltre, la faccia inferiore della moneta (quella a contatto con il conio d’incudine) riporta frequentemente le impronte meno nitide rispetto all’altra faccia (quella a contatto con il conio di martello) e questo evidentemente perché il colpo di martello veniva assestato sul conio superiore e la pressione veniva trasferita al conio inferiore attraverso lo spesso tondello.

Analizziamo ora un po’ più nel dettaglio la posizione dei due conî. Il conio inferiore veniva incassato in un’incudine e per questo motivo assume anche il nome di “conio di incudine”. Invece, il conio superiore era generalmente libero e doveva quindi essere collocato manualmente sopra al tondello ad ogni battitura. Siccome il conio superiore era quello che riceveva direttamente il colpo con un apposito martello, lo stesso assume anche la denominazione di “conio di martello”.

Figura 25 – Antica scena di battitura. Fonte: alphanumismatics.gr

Come già evidenziato, la mobilità del conio superiore ha ovviamente degli effetti sull’allineamento dell’immagine del dritto con quella del rovescio. Infatti, salvo l’introduzione di appositi espedienti volti ad evitare tale fenomeno, l’orientamento degli assi delle due facce della moneta era casuale e poteva ruotare di 360°. Per cercare di evitare tale asimmetria, nell’antichità furono introdotti vari metodi tra cui si ricordano i due seguenti:

  • porre dei segni di riferimento sull’incudine e sul conio superiore, in modo tale da posizionare quest’ultimo con l’orientamento prescelto ad ogni battitura;
  • utilizzare dei conî a pinza (vedi supra), vale a dire i due conî venivano incassati all’estremità di due bracci di una sorta di pinza.

Si trattava di un perfezionamento nei procedimenti tecnici che non aveva nessuna conseguenza né pratica né estetica, ma denotava solo una metodicità e regolarità propri di una zecca altamente organizzata e con personale qualificato[6]. A prescindere dal loro orientamento, il tondello rovente doveva essere posto con accuratezza al centro tra i due conî attraverso la tenaglia e anche questa operazione richiedeva abilità ed una lunga pratica. Una volta assestato il colpo, la pressione esercitata spingeva il metallo del tondello dentro le cavità dei due conî generando così le impronte.

Terminata la battitura e sempre grazie alla pinza, la moneta appena coniata veniva posta in un recipiente pieno d’acqua, al duplice fine di raffreddarla e temperarla (processo fisico di indurimento del metallo). Dopo di che, si effettuavano delle veloci operazioni di verifica, maggiormente volte a verificare la corretta composizione delle leghe che a controllare la qualità estetica della moneta. Concluse anche queste verifiche, la moneta era pronta per entrare in circolazione. Il processo di battitura completamente manuale, la notevole forza necessaria per battere gli spessi tondelli dell’antichità e la scarsa accuratezza dell’epoca determinavano spesso degli errori di coniazione, tra cui i più frequenti erano appunto legati alla fase di battitura:

  1. battitura decentrata: causata da un errato posizionamento del tondello (entrambe le facce decentrate) ovvero del conio superiore (solo una faccia – generalmente il rovescio – decentrata);
  2. doppia battitura: ciò avveniva quando la prima battitura non era soddisfacente (es. fortemente decentrata) e si procedeva a ribattere la moneta. Spesso le impronte della prima battitura non venivano integralmente cancellate dalla seconda battitura. A differenza della tecnica di “riconiazione” analizzata nel paragrafo precedente, in questo caso la ribattitura è dovuta ad un errore e le impronte della prima e della seconda battitura sono le stesse, anche se talvolta poteva capitare di coniare il dritto sul rovescio o viceversa;
  3. brockage: a volte la moneta appena coniata – probabilmente a causa del calore sviluppato dalle operazioni di battitura – poteva rimanere attaccata al conio superiore e se il malleator ed il suppostor non se ne accorgevano la successiva battitura produceva una moneta con la stessa immagine del dritto su entrambe le facce. Tuttavia, una faccia riporterà le impronte in positivo ed in rilievo, mentre l’altra riporterà le stesse impronte in negativo ed in incuso.

Naturalmente, gli errori di coniazione potevano riguardare anche le altre due fasi del processo di coniazione (es. tondello di peso inferiore al normale ovvero errore grammaticale nella legenda riportata sul conio). Tuttavia, come detto, quelli più frequenti riguardavano senz’altro la fase di battitura.

Figura 27 – Denario Marcius Philippus, 56 a.C. con doppia battitura Figura 26 – Denario Julius Caesar, 46-45 a.C. decentrato

 

 

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[1] Federico Barello, Archeologia della moneta, Carocci editore, 2006, pag. 83.

[2] Lucia Travaini e Alessia Bolis (a cura di), Conî e scene di coniazione, Edizioni Quasar, 2007, pag. 269.

[3] Philip Grierson, Introduzione alla numismatica, Jouvence, 1984, pag. 162.

[4] David Sellwood, Some experiments in Greek minting tecnique, in Numismatic Cronicle, n. 7, 1963, pagg. 217-231.

[5] Angelo Finetti, Numismatica e tecnologia, NIS, 1987, pag. 55.

[6] Francesco Panvini Rosati, La tecnica monetaria altomedioevale, in “Artigianato e tecnica nella società dell’alto Medioevo occidentale”, 2-8 aprile 1970, Tomo II.